LA GENESI DE “MARTINO ESPLORATORE"

N.B. I meccanismi psicologici qui sotto descritti NON DEVONO essere rivelati ai bambini.

" Motivazione "

“Martino esploratore" è un fumetto. Nel senso che, come per il precedente, non può essere definito una storia illustrata. In quanto, sono le didascalie sottostanti che illustrano i disegni e non viceversa. Quindi, come vedremo più avanti, è stato fatto un accurato lavoro di sceneggiatura per sezionare il racconto in “scene”. Infatti, le didascalie non esprimono lo svolgimento narrativo della storia, ma si limitano a descrivere la scena.

Che l’agire umano necessiti di motivazioni è facilmente intuibile. Infatti, nella psicologia di indirizzo comportamentista sono state osservate molte forme di motivazione, sia dinamiche (emotive e affettive) che cognitive, come gli impulsi primari, le motivazioni apprese, quelle intrinseche ecc... Ma, per rendere il significato evolutivo di questa tesi, vengono sottolineate principalmente quelle sequenze d’azioni che muovono dagli estremi motivazionali, al fine di delineare la traccia mediana di una condotta all’agire che possa tradursi nella concreta prospettiva di realizzazione, sottesa alle azioni stesse. Ovvero, che conduca alla strutturazione dell’autostima nel soggetto, fondamentale per la formazione della ventura personalità adulta. Ora, gli estremi motivazionali a cui facevamo riferimento prima sono, da un lato, la tenacia più cieca e, dall’altro lato, tutta una serie di risposte passive nei confronti di una mancata realizzazione, ovvero la rinuncia. Si, perché nei termini filosofici, riferiti all’esistenza, non esiste la perfezione, la piena realizzazione, e tantomeno il completo fallimento. Quindi, allo scopo di delineare una prospettiva oggettiva, bisogna tener presente che in tutte le scienze umanistiche non compare mai l’idea di errore quale colpa, poiché questa ne sarebbe una visione etica. Invece, viene indicata la permanenza dello scopo. In quanto, se la perfezione e il fallimento non esistono, il fine diviene sempre irraggiungibile e mai irrealizzabile, quindi permanente. Va da sé, che il significato educativo della giusta motivazione, coerentemente al percorso evolutivo che deve portare il soggetto alla strutturazione dell’autostima, si collochi in posizione mediana tra gli estremi motivazionali, più su citati. In questo senso, al sentimento di umiliazione e frustrazione per la mancata realizzazione del nostro intento, si pone in contrapposizione l’atteggiamento dell’umiltà, quale viatico della realizzazione attraverso l’apprendimento graduale (sbagliando s’impara, e si realizza in seguito), che esula sia dalla rinuncia che dalla presunzione. Ma vediamo più nel dettaglio come si configura questo meccanismo. Quindi, consideriamo ora la tenacia, ossia la resistenza che l’individuo manifesta nel lottare contro gli ostacoli che si frappongono fra sé e la meta. Infatti, più gli impulsi a ottenere qualcosa saranno forti, più resisteremo agli insuccessi. Un altro fattore che induce la tenacia è l’ignoranza nel conoscere o capire la causa dei propri insuccessi. Analogamente, se il fattore di apprendimento di un comportamento (ossia il rinforzo) si presentasse con una frequenza del tutto casuale (come nel caso di un giocatore d’azzardo), la resistenza all’estinzione di quel comportamento (infruttuoso) sarebbe maggiore. Quindi, tra le sequenze d’azione che muovono dagli estremi motivazionali, all’opposto della tenacia, vi sono tutta una serie di risposte passive al fallimento. Vediamo quali sono. Oltre all’apatia, c’è la razionalizzazione, la quale costituisce una forma di dissonanza cognitiva di cui abbiamo già parlato in questa serie di postfazioni. In seguito, viene segnalata la gratificazione in fantasia che, però, può essere ambivalente, in quanto l’attività di ideazione può costituire anche un buon sistema per neutralizzare l’apatia. Inoltre, dai sogni ad occhi aperti prendono forma aspirazioni derivanti da quella infruttuosa, dalle quali nascono nuovi impulsi ad agire. Ancora, vengono osservate, quali risposte al sentimento di frustrazione, la compensazione, consistente nel dirottare la propria ambizione in un esercizio analogo, la regressione, riscontrabile soprattutto nel bambino, e l’aggressività, solo qualora ve ne sia la predisposizione e la possibilità, anche occasionale, che qualcuno assuma il ruolo della vittima designata. Ora, visti in sintesi quali sono gli estremi motivazionali, consideriamo, anche attraverso la storia che abbiamo appositamente realizzato, come il bambino possa elaborare una sua personale idea di motivazione permanente. Ovvero, che esuli sia dalla tenacia, mettendolo al riparo dall’illusione (e dalla conseguente delusione) di una piena realizzazione del proprio scopo, che dall’altrettanto errata convinzione nell’impossibilità di raggiungere la propria meta. Quindi, una motivazione che abbia, appunto, un carattere permanente. Ossia, che non si esaurisca dopo il primo successo e che, proprio per questo, non renda mai l’idea che uno scopo sia irrealizzabile. In ultima analisi, che possa fornire al fanciullo uno stimolo utile alla futura strutturazione dell’autostima. Infatti, a questo proposito, bisogna come sempre tenere presente che stiamo parlando di bambini. Quindi, per delineare i confini dell’ambito che stiamo considerando, anche questa volta ricorreremo a un’iperbole. Dunque, sia chiaro che il bambino non si suicida. Solo l’adulto lo fa o, al massimo, l’adolescente che lo sta per diventare e che ha già posto un piede nella maturità. Il motivo è molto semplice: Il bambino vive in un mondo protetto, dove un suo eventuale fallimento non potrebbe avere un carattere assoluto, perché non rapportabile al mondo degli adulti. Quindi, trattasi di un gioco, ma un gioco che i bambini, limitatamente al loro ambito, prendono molto seriamente. Tuttavia, qualunque sia la natura del loro fallimento (anche gravissimo), essi non riescono a percepirlo come irreversibile, in quanto avvertono la consapevolezza di essere minori e tutelati rispetto al mondo degli adulti. Ma, per fornire loro una motivazione atta strutturare l’autostima nel momento in cui dovranno realmente elaborare i propri fallimenti, dovremmo, come già detto, fornire loro una motivazione che abbia il carattere della permanenza. Questa motivazione si concretizza nell’apprendimento costante. Ovvero, nell’atteggiamento di umiltà nei confronti di ciò che non siamo riusciti a realizzare. Quindi, tracciando un percorso che porta il soggetto dall’umiliazione all’umiltà. Atteggiamento che si pone in antitesi sia a quello presupponente della tenacia, che a quello passivante della rinuncia i quali, in entrambi i casi, sottendono l’ignorare delle reali cause dei nostri fallimenti, come già avevamo accennato nella descrizione degli estremi motivazionali. Inoltre, questo principio potrebbe essere esteso anche oltre il fallimento personale. Infatti, esso rimane valido anche per la percezione del male inteso come indipendente dalla nostra volontà. In quanto, per l’ego, non vi è alcuna differenza tra un errore proprio e un torto subito ingiustamente. Ma questo è un argomento conseguente da un assunto più grande della motivazione all’agire e, per questo, esso ci aiuta a capire l’importanza di questa tesi.

Detto questo, vediamo come, nell’undicesimo episodio del gatto Martino, i nostri protagonisti si confrontino proprio con questa problematica. Dunque, dopo un primo ed eclatante fallimento che li induce alla rinuncia, Martina e Nerino elaborano il loro sentimento di vergogna (per la mancata realizzazione) in un atteggiamento di umiltà, sotteso alla consapevolezza della loro incompetenza. Questo atteggiamento di umiltà, però, se da un lato accompagna i nostri protagonisti dalla iniziale rinuncia fino alla necessità di apprendere ciò per cui hanno fallito, dall’altro continua a sottendere un’idea di compimento, ovvero di completa realizzazione. Infatti, solo in un secondo momento e anche grazie all’intervento del gatto Martino, proprio a causa delle oggettive difficoltà, a cui l’impresa continua a sottoporli, essi riusciranno a distogliersi dall’idea di compimento per elaborare il concetto di permanenza del loro scopo. Ovvero, modificando la loro ambizione, non più verso la completa e perfetta realizzazione, e nemmeno verso l’impossibilità e la rinuncia, bensì nella direzione del costante perseguimento, quale scopo permanente.

Il soggetto di questa storia è così strutturato:

Prologo. La gatta Martina, stanca delle solite giornate passate al parco giochi, propone a Nerino di fare qualcosa di diverso. Così, egli la conduce a fare una passeggiata in campagna.

Antefatto. Ma la loro esperienza si rivela disastrosa, perché rientrano a casa inzuppati di fango, dopo essere passati attraverso alcuni pericolosi imprevisti. Di conseguenza, in seguito decidono di rinunciarvi.

Fatto. Il gatto Martino, dopo aver ascoltato il racconto dei suoi amici, li convince a riprovarci. Così, tutti assieme si recano nuovamente in campagna, affrontando tutta una serie di difficoltà a loro finora sconosciute.

Epilogo. Dopo aver compreso la vastità del luogo e l’infinita possibilità dei suoi imprevisti, ammettono di non potersi dire competenti e, anziché rinunciarvi, decidono per il perseguimento costante della sua esperienza.

Come già accennato, il soggetto è stato sezionato in scene che sono appunto la risultanza di un percorso narrativo scandito dalle immagini. A tale scopo, le azioni repentine sono state dilatate con la ripetizione di più scene, mentre le digressioni narrative sono state economizzate, concentrando in una sola scena l'avanzamento della storia. A questo punto sono stati scritti i testi.

Quindi dalle scene scritte, si è passati alla realizzazione di “bozzetti” per cominciare ad immaginare visivamente le scene.

Per il disegno, come nel fumetto precedente, ci siamo trovati di fronte ad un dilemma. Scegliere un tratto stilizzato o realistico. Quello realistico non si addice ad una storia per bambini, poiché essi si esprimono nell'ambito del gioco e non nella realtà. Invece, quello stilizzato non ci consente di tratteggiare lo sfondo, indispensabile allo svolgimento della nostra storia (Lo sfondo stilizzato è ad esempio quello di Topolino che ovviamente è surreale). Quindi, abbiamo deciso di scegliere un tratto che rappresentasse un compromesso. Un disegno realistico, ma come se fosse fatto da un bambino, stentato e con l'anatomia appena accennata.

Per la colorazione, sempre per dare l’impressione che non fosse troppo realista, ci siamo avvalsi dell’uso del computer.

Infine, abbiamo aggiunto le didascalie e salvato i file in modo da stamparli fronte-retro. Le vignette vengono tagliate e rilegate a mano.

ANNO MMXVIII