LA GENESI DE “MARTINO E L'IMPREVISTO"

N.B. I meccanismi psicologici qui sotto descritti NON DEVONO essere rivelati ai bambini.

" Identità di genere "

“Martino e l'imprevisto" è un fumetto. Nel senso che, come per il precedente, non può essere definito una storia illustrata. In quanto sono le didascalie sottostanti che illustrano i disegni e non viceversa. Quindi, come vedremo più avanti, è stato fatto un accurato lavoro di sceneggiatura per sezionare il racconto in “scene”. Infatti, le didascalie non esprimono lo svolgimento narrativo della storia, ma si limitano a descrivere la scena.

Da sempre, esiste una concezione universale secondo cui l’emancipazione di genere vada ricercata proprio nella differenziazione tra maschio e femmina, piuttosto che nell’emulazione dell’altro sesso, allo scopo di superare le disparità fra generi. Sarebbe perfino superfluo dire che questa concezione è stata invece fin troppo abusata per alimentare ulteriori pregiudizi fra uomini e donne e, in ultima analisi, per circoscriverne il ruolo sociale. Tuttavia, secondo l’orientamento accademico che abbiamo scelto per questo progetto, non esisterebbe altro modo per conseguire l’emancipazione di genere, se non quello di educare a una cultura delle differenze, in tutte le sue peculiari forme di espressione derivanti dai due fenotipi maschio-femmina, anziché semplificare, fino alla fusione in un unico genere, al fine di conseguire la parità tra uomo e donna. In pratica, la frammentazione delle sfumature sull’identità di genere, moltiplicando gli stereotipi conseguenti, potrebbe efficacemente impedire la formazione di generalizzazioni, su maschi e femmine, attuandone una reale e vera emancipazione.

Quindi, dopo questa breve premessa, andremo sommariamente a vedere come nasce l’identità di genere nell’individuo e, in seguito, come esso possa strutturarla in modo efficacemente coerente con la propria. L’identità di genere è un processo dai tratti cognitivi, culturali e biologici che ha origine nella primissima infanzia, e che giunge al suo totale compimento solo con la maturità dell’individuo. Infatti, già a partire dai diciotto mesi, i bambini sono in grado di sapere a quale genere essi appartengano, attraverso l’attribuzione che gli viene data dai genitori, prima ancora che acquisiscano la capacità di discriminazione genitale. In seguito, già a tre anni, essi sono in grado di compiere attribuzioni stereotipiche su ciò ch significhi essere maschi o femmine. Poi, attraverso l’acquisizione dei progressi cognitivi, che si verifica nel principio della fanciullezza (6-7 anni di età), essi realizzano la “costanza di genere”. Ovvero, che il genere di un individuo rimane il medesimo a dispetto delle apparenze. Ma è solo con la pubertà e con l’adolescenza che i ragazzi, sotto l’influsso ormonale, sentono il bisogno di una auto ed etero definizione della propria identità di genere. In questo periodo infatti, con l’intrecciarsi delle prime relazioni sentimentali, essi rafforzano la propria identità di genere, a prescindere dall’orientamento sessuale. Infine, al termine dell’adolescenza, la questione dell’identità di genere entra in una fase di ridefinizione dell’immagine che si possiede e che si rimanda del proprio Sé. Per tanto, quest’ultima, assumendo anche un carattere sessuato in senso attributivo, contribuisce alla definitiva identificazione del proprio genere.

 A proposito di adolescenza, dobbiamo sottolineare che l’identità di genere oggi acquista una connotazione decisamente più soggettiva e individuale, rispetto a un passato in cui i sistemi e le gerarchie sociali, di tipo collettivo, fungevano da substrato all’evoluzione dell’individuo nella società. Per tanto, l’adolescente di oggi, non vedendosi costretto in percorsi rigidamente organizzati, si risolve in aspettative di ruolo meno chiare e definite, ma che ne aumentano il livello di complessità e flessibilità. Se tutto questo da un lato crea dinamismo e maggiore libertà individuale, dall’altro incrementa il senso d’incertezza e d’instabilità, già naturalmente presenti nell’adolescente. Certamente, possiamo considerare le indicazioni di ruolo, dettate dalla società, come delle restrizioni o come degli argini rassicuranti, ma pur sempre limitanti. Proprio da questo risvolto della problematica adolescenziale trae origine la più su accennata teoria della fusione in un unico genere (teoria di Queer), la quale mette in discussione la naturalità dell’identità di genere, per il fatto di essere in parte costituita anche da fattori culturali. Quindi, affermando che l’individuo non potrebbe essere definito tramite macrocategorie quali “uomo/donna”, in quanto artificiose, ambisce al superamento della disparità di genere, attraverso l’elusione di questa distinzione.

Ora, vedremo invece come la costruzione dell’identità di genere, nelle prospettiva tradizionale, ambisca non tanto alla parità tra i generi in quanto tale, bensì all’emancipazione specifica, in funzione del superamento delle disparità, generate dai pregiudizi verso i generi stessi. Il fatto che l’identità di genere sia costituita, oltre che da fattori cognitivi e biologici, anche da una componente culturale, viene considerato, dalle teoria tradizionale, imprescindibile, al fine della sua stessa strutturazione. In effetti, la formazione degli stereotipi funge da scorciatoia mentale nella comprensione di una realtà che, presentando un elevatissimo numero di stimoli, risulta in parte incomprensibile. Questo percorso cognitivo precede la formazione del pregiudizio e, pur costituendo esso una distorsione in sé, viene ritenuto del tutto naturale, in virtù della sua iniziale neutralità. Infatti, lo stereotipo ci spinge ad associare a un singolo i tratti generali di una specifica categoria, del quale arriviamo anche a deformarne la percezione per adattarla all’immagine generale precedentemente acquisita. Tuttavia, la situazione si aggrava solo quando allo stereotipo articoliamo un giudizio di valore. Del resto, pretendere di limitarsi alla sospensione dei pregiudizi sarebbe altrettanto utopico quanto considerare la possibilità di non categorizzare la realtà, perché nella stereotipizzazione vi è sempre una componente soggettiva e, quindi, un giudizio di merito implicito che emerge successivamente. A tale annoso problema non esiste una soluzione. L'unico rimedio praticabile rimane, per tanto, quello della diffusione di una cultura delle differenze, in quanto, diversamente, si correrebbe il rischio di fondare una società basata sui pregiudizi che, in seguito, creerebbero diffuse disparità contestuali. In pratica, essere uomo o donna oggi, non significa solo essere marito o moglie, lavoratore o casalinga, padre o madre, rigorosamente eterosessuali. Oggigiorno, esistono una miriade di altre possibilità e sfumature per essere ugualmente maschi o femmine. A maggior ragione, educare a riconoscere e a riconoscersi nel proprio genere, comprendendone tutte le peculiari espressioni, aiuterebbe a impedire la formazione di giudizi generalizzati, in merito alle macrocategorie “donne/uomini”,e a vantaggio di entrambi. Ma prima di proseguire nell’analisi della storia, osserviamone subito il soggetto, perché da esso potremo ricavare alcuni elementi indicativi.

Antefatto. Da qualche tempo, i tre amici avevano preso l’abitudine d’incontrarsi in un prato vicino alla casa di Martino, anziché al parco giochi, come avevano sempre fatto. Allora, Martino e Nerino pensano che le proposte di divertimento preferite da Martina non siano conformi alle loro e, nonostante il tentativo di lei di adeguarsi al gruppo, essi continuano a mantenere un pregiudizio nei suoi confronti. In seguito, dopo aver passato la mattinata al prato, essi si danno appuntamento per il pomeriggio, nello stesso luogo.

Misfatto. Quando i tre giungono all’accesso per il prato, trovano la tettoia che gli consentiva di scendere dal muro di cinta completamente rimossa. Così, non potendo più accedervi, per quel pomeriggio, sono costretti a tornare al parco giochi.

Fatto. Il mattino seguente, quando il prato tornava accessibile, per l’assenza di un cane che ne presidiava il secondo accesso, Martina ci si reca, e prepara un grande cuscino d’erba, proprio sotto al muro, ormai diventato troppo alto per scendervi, senza la tettoia.

Epilogo. Nel pomeriggio seguente, Martina arriva dai suoi amici al parco giochi, e li invita ad andare al prato. Da quel giorno, tutti i pomeriggi useranno quel metodo per accedervi.

Come si può vedere, in questo tredicesimo episodio, abbiamo voluto sottolineare come il comportamento emulativo della protagonista, rispetto alle aspettative del gruppo, non avvalli i pregiudizi su di essa, poiché formulati precedentemente ai suoi tentativi di adeguamento. Per contro, l’integrazione di Martina si manifesta invece attraverso un’emancipazione specifica, conseguente un suo proficuo e opportuno intervento, che ne decreterà la definitiva complementarietà con il gruppo. E, siccome questa complementarietà non può essere ricercata, Martina in realtà non si adegua alle aspettative del gruppo. Diversamente, essa vi aggiunge qualcosa di nuovo e interagente con gli altri, ai quali invece gioverà un arricchimento, derivante da una prospettiva diversa.

 Come già accennato, il soggetto è stato sezionato in scene che sono appunto la risultanza di un percorso narrativo scandito dalle immagini. A tale scopo, le azioni repentine sono state dilatate con la ripetizione di più scene, mentre le digressioni narrative sono state economizzate, concentrando in una sola scena l'avanzamento della storia. A questo punto sono stati scritti i testi.

Quindi dalle scene scritte, si è passati alla realizzazione di “bozzetti” per cominciare ad immaginare visivamente le scene.

Per il disegno, come nel fumetto precedente, ci siamo trovati di fronte ad un dilemma. Scegliere un tratto stilizzato o realistico. Quello realistico non si addice ad una storia per bambini, poiché essi si esprimono nell'ambito del gioco e non nella realtà. Invece, quello stilizzato non ci consente di tratteggiare lo sfondo, indispensabile allo svolgimento della nostra storia (Lo sfondo stilizzato è ad esempio quello di Topolino che ovviamente è surreale). Quindi, abbiamo deciso di scegliere un tratto che rappresentasse un compromesso. Un disegno realistico, ma come se fosse fatto da un bambino, stentato e con l'anatomia appena accennata.

Per la colorazione, sempre per dare l’impressione che non fosse troppo realista, ci siamo avvalsi dell’uso del computer.

Infine, abbiamo aggiunto le didascalie e salvato i file in modo da stamparli fronte-retro. Le vignette vengono tagliate e rilegate a mano.

ANNO MMXVIII

Martino e la tettoia rimossa