LA GENESI DE “MARTINO E LA SUA FAMIGLIA"

N.B. I meccanismi psicologici qui sotto descritti NON DEVONO essere rivelati ai bambini.

" Narcisismo "

“Martino e la sua famiglia” è un fumetto. Nel senso che, come per il precedente, non può essere definito una storia illustrata. In quanto, sono le didascalie sottostanti che illustrano i disegni e non viceversa. Quindi, come vedremo più avanti, è stato fatto un accurato lavoro di sceneggiatura per sezionare il racconto in “scene”. Infatti, le didascalie non esprimono lo svolgimento narrativo della storia, ma si limitano a descrivere la scena.

Sappiamo che l’egocentrismo è un aspetto fondante e caratterizzante della personalità infantile. In questo frangente, tutti i risvolti psicologici, derivanti dall’egocentrismo, trovano nel bambino un ambito perfettamente naturale. Ma sappiamo anche che un’altra caratteristica della personalità infantile è quella di essere di transizionale. Per tanto, quando ne consideriamo alcuni aspetti particolari, dobbiamo sempre valutarli in una prospettiva evolutiva. In quanto, è proprio facendo leva su questi risvolti peculiari, che egli potrà elaborare l’egocentrismo, approdando alla completa strutturazione dell'età adulta. Quindi, se la personalità del bambino è egocentrica, va da sé che essa sarà anche narcisistica. Ovvero, tendenzialmente tesa a proiettare il proprio punto di vista personale nell’ambiente circostante, tentando di plasmarlo a proprio piacimento. Allora, affinché il bambino non cresca come un narcisista, non bisognerebbe certamente scoraggiare la sua vivace intelligenza emotiva, bensì prestare attenzione solo a quelle forme di razionalizzazione del sentimento che possano essere di ostacolo alla destrutturazione degli schemi disfunzionali, divenendo dei circoli viziosi. In pratica, un bambino che tenda a proiettare il proprio punto di vista nell’ambiente circostante, riuscendo a plasmarlo in suo favore, è sicuramente un bambino molto intelligente, ma non crescerà. Questo perché, elaborando strategie che possano orientare l’ambito in cui vive, egli crea anche dei circoli viziosi che gli sortiranno l’effetto di potersi esimere dal rispondere nei propri confronti, in merito a qualsiasi delusione affettiva, impedendogli così di crescere. O meglio, di confondere e in seguito travisare la sua subdola capacità d’imporsi con l’autodeterminazione, la mera assertività con l’autonomia affettiva. Infatti, sono precisamente la capacità di “amarsi” e di non dipendere dalla altrui rispondenza che distinguono il narcisista dall’individuo maturo, il bambino “camuffato” dall’adulto. A questo proposito, prima di esaminare il percorso attraverso il quale il fanciullo potrà elaborare i suoi atteggiamenti narcisistici, in funzione di una consapevolezza interiore e non passiva dei limiti imposti dall’ambiente ove vive, diviene ora opportuno conoscere più nel dettaglio le peculiarità del narcisista cronologicamente adulto, al fine di scongiurare che questo atteggiamento congenito possa intralciare o addirittura inibire lo sviluppo affettivo nel bambino.

Dunque, abbiamo già parzialmente illustrato, nell’episodio “Martino gatto da giardino”, che di fronte alla scelta tra un irrealistico rifiuto ad oltranza e l’assunzione (a proprio carico) dei limiti imposti dalle circostanze, il soggetto sceglieva la seconda opzione. Ciò che in quel caso non abbiamo considerato, era appunto l’ipotesi di un’adesione formale, la quale non avrebbe avuto le caratteristiche dell’acquisizione partecipativa, verso una nuova regola. Ovvero, il conformismo. Infatti, in quel caso la scelta non sarebbe stata sofferta ed elaborata dal soggetto, il quale, scansando l’assunzione di responsabilità ed evitando di soffrirne emotivamente, vi avrebbe aderito in modo puramente opportunistico. Questo è uno degli aspetti caratterizzanti del narcisista e uno dei suoi stratagemmi con cui egli ha accuratamente evitato di crescere. Infatti, in psicologia si allude al conformista come a una figura dal valore puramente estetico. Per fare un esempio, nell’omonimo romanzo di A. Moravia, il protagonista aderisce alla istanze ideologiche del suo tempo, solamente per un mero desiderio di rivalsa personale. Ma, naturalmente, il narcisista opporrà a questa tesi il tema che sia l’intransigenza dell’idealista controcorrente a manifestare, in modo molto più evidente, l’individualistica volontà d’imporsi, piuttosto che quella di colui il quale si adegua. Come se personaggi alla stregua di Ghandi o Nelson Mandela avessero predisposto e architettato tutta la loro vita, al solo scopo di emergere personalmente e di affermarsi. Per questo motivo, nel “Inferno” di Dante, gli ignavi, che nella loro vita terrena non hanno mai assunto una posizione di parte, per essersi mascherati dietro un’adesione puramente formale, vengono condannati a inseguire eternamente un vessillo. Infatti, arriva il momento, nella vita di ognuno, di fare quello che, con un termine moderno, viene definito “outing”. Ovvero, “uscire allo scoperto”, ma anche “fare una scelta”, a prescindere dall’essere essa di tendenza o controcorrente, la quale, per definizione, deve essere individuale. Infatti, si può sempre pronunciare un “si” o un “no” (e questo non è solo auspicabile ma anche imprescindibile). Tuttavia, non è possibile esprimere un consenso o un diniego, in buona compagnia. Altrimenti, che scelta sarebbe? Questo è esattamente ciò non che fa il narcisista. Infatti, egli delega la responsabilità verso se stesso ad un atto di conformismo. Come se l’adesione a una parte potesse precedere e surrogare il proprio debutto nel mondo degli adulti. Tutto ciò, come abbiamo già visto, rappresenta l’essenza dell’assertività, in quanto questa non va confusa con l’autodeterminazione, la cui prerogativa risiede invece nella disillusione, anziché nell’aspettativa. Con ciò, siamo arrivati al nocciolo della questione, del quale avevamo finora accennato solo implicitamente. Infatti, l’autonomia affettiva è il percorso attraverso cui si giunge al disincanto e all’assenza di aspettative. Nel bambino, il percorso dell’aspettativa non corrisposta conduce sempre alla delusione e alla conseguente elaborazione di una strategia (razionalizzazione del sentimento negativo). Mentre nell’adulto, la delusione diviene più spesso disincanto che si risolve in una prospettiva mutualistica (dare per avere). Ovvero, essa si risolve nell’assenza di aspettative a priori. Detto questo, dobbiamo specificare che l’assertività del narcisista si esprime certamente tramite sottili strategie (in luogo della più matura autoaffermazione), ma che essa rimane pur sempre una forma, seppur teorica, di sopruso. E, manco a dirlo, il sopruso è una proiezione mentale, percepita sia da chi lo compie che da chi lo riceve. Infatti, nella realtà empirica, non esistono le interazioni di tipo forzoso, poiché esse devono necessariamente svolgersi in un ambito precostituito. Ossia, causalmente successivo a quello paritetico. Chi invece ammette l’esistenza del sopruso compie il primo atto di violenza, tollerandolo, e ne diviene, per l’appunto, il teorico. Quindi, l’essere buoni non è un’accezione caratteriale, ma rappresenta l’unico modo di essere orientativamente sani di mente. Mentre la cattiveria è una scorciatoia in cui può incappare chiunque e in qualsiasi momento, ma avallarla, soprattutto nei propri confronti, è e rimane il principio della devianza sociale. A questo punto, però, una domanda sorgerebbe spontanea. Fino a quando il castello di bugie che il narcisista ha raccontato soprattutto a se stesso reggerà il confronto con la realtà? Effettivamente, la società odierna si dimostra sempre più indulgente nei confronti di queste tipologie umane. Per tanto, i tempi dell’inesorabile fallimento personale, dovuti all’inclinazione narcisistica, si allungano costantemente, fino ad arrivare alle tragiche conseguenze che le cronache sovente riportano. Ma, prima di giungere alle mogli ammazzate oppure ai figli traviati da madri iper-protettive, ci si augurerebbe sempre che la delusione affettiva, precipitasse il narcisista nella più cupa solitudine. Poiché è proprio questa che, vissuta fino in fondo, conduce il soggetto alla disillusione e all’assenza di aspettative. In altre parole, alla maturità affettiva. Magari, prima che egli possa compromettere anche le persone che lo circondano. Inoltre, proprio da questa realtà parallela e fittizia che il narcisista si è pazientemente costruito, egli pretenderebbe anche di elargire la sua misericordia. E questo è un altro aspetto sintomatico e rappresentativo della sua personalità tendenzialmente patologica. Infatti, a differenza della solidarietà utilitaristica e della carità, la misericordia tra gli uomini costituisce un atto improprio, in quanto non è mai possibile considerare l’inferiorità di qualcuno, nella contingente prospettiva in cui ognuno vive. Per tanto, questi segnali dovrebbero indicare, in modo inequivocabile, quando ci si trova in presenza di una personalità irrisolta e sostanzialmente infantile. Tuttavia, sebbene esista un’ampia letteratura scientifica riguardo a tali casi clinici e alle loro tragiche circostanze, ciò che interessa a noi, in questa tesi, rimane come solamente il confronto con l’amara realtà possa condurre l’individuo alla maturazione affettiva.

Con questo, siamo finalmente giunti a descrivere il percorso di emancipazione dal vizio in cui la nostra l’intelligenza emotiva (se non venisse opportunamente ponderata) potrebbe condurci. E del quale percorso abbiamo già, più su, accennato. Ovvero, la disillusione dalle aspettative e l’assunzione della responsabilità affettiva verso se stessi. Quindi, nel dodicesimo episodio del “gatto Martino”, potremo osservare come il nostro protagonista, reprimendo la sua innata propensione al narcisismo, riuscirà ad elaborare e a formare, seppur non completamente, il suo “io relazionale”, assumendo e impersonando i vincoli ambientali, anziché tentando di piegarli o adattandovisi opportunisticamente. In pratica, confrontandosi con la realtà, invece di costruirsene una parallela. Ma, prima di proseguire nell’analisi della storia, osserviamone subito il soggetto, perché da esso potremo ricavare subito alcuni elementi indicativi.

Antefatto. Il gatto Martino rientra a casa per l’ora di cena e, dal quel momento fino a quando i suoi padroni andranno a dormire, inscena tutta una serie di capricci, finalizzati ad attrarre l’attenzione su di sé, e a sovvertire le sue esigenze in concessioni che, quindi, egli renderebbe loro.

Fatto. Il giorno seguente, il suo padrone non rientra a casa per pranzo, e Martino si stupisce di come la sua padrona si adegui facilmente a desinare sola, e ad arrangiarsi con uno stendibiancheria rotto, che avrebbe invece avuto bisogno di essere accomodato.

Epilogo. Al rientro del suo padrone per l’ora di cena e fino a quando entrambi andranno a dormire, Martino dimostra di essere riconoscente per tutte le attenzioni ricevute, seppur pretendendole ancora.

Dunque, da questo soggetto possiamo subito dedurre come l’atteggiamento del nostro protagonista si conformi oltre l’egocentrismo infantile (di cui ha naturale diritto), per assumere le forme del narcisismo. Infatti, egli riesce a sovvertire il suo bisogno di attenzioni da parte degli adulti in una proiezione irrealistica di questa necessità, dove apparentemente è lui a degnarsi di accettare tali attenzioni. Ad esempio, chiede una carezza, e quando gli viene concessa la evita, perché non è lui ad averne bisogno. Magari l’accetterà la prossima volta. Oppure, quando mangia perché ha fame davvero, e non vuole farsi vedere nel farlo. Infatti, se egli accetta il cibo, è solo per fare un favore a chi glielo ha donato. Ma, se dicevamo essere la solitudine affettiva a costituire la molla che fa scattare il superamento dell’egocentrismo infantile, è intuibile che questo non possa avvenire nella seconda infanzia. E, infatti, egli vede nella figura di riferimento della sua padrona questa solitudine, della quale ella però sembra non darsene troppa noia. Mentre Martino rimane invece molto colpito da tale atteggiamento. Questo meccanismo, detto dell’identificazione, a onor del vero, trova la sua completa attuazione solamente verso la fine dell’adolescenza, ma ciò non significa che esso non si manifesti ugualmente, attraverso un costante raffronto con le figure di riferimento, durante tutto il cammino dell’età evolutiva. Quindi, sperimentando la solitudine attraverso l’esperienza appresa nell’osservare la figura genitoriale, egli ne imita il modello, di cui ha riconosciuto e ammirato l’autonomia affettiva. Per tanto, Martino comincia ad essere riconoscente per tutte le attenzioni che riceve, continuando però a pretenderle, come farebbe un qualsiasi bambino. In questo modo, abbiamo voluto rappresentare come il fanciullo possa scongiurare la strutturazione di uno schema affettivo disfunzionale che si conforma attraverso l’assunzione di circoli viziosi, in cui l’appagamento delle necessità viene sostituito da una bugia che egli si racconta da solo. In sostanza, la morale di questa storia è che nessuno può pretendere di essere amato. Anche se il bambino ancora non lo sa.

Come già accennato, il soggetto è stato sezionato in scene che sono appunto la risultanza di un percorso narrativo scandito dalle immagini. A tale scopo, le azioni repentine sono state dilatate con la ripetizione di più scene, mentre le digressioni narrative sono state economizzate, concentrando in una sola scena l'avanzamento della storia. A questo punto sono stati scritti i testi.

Quindi dalle scene scritte, si è passati alla realizzazione di “bozzetti” per cominciare ad immaginare visivamente le scene.

Per il disegno, come nel fumetto precedente, ci siamo trovati di fronte ad un dilemma. Scegliere un tratto stilizzato o realistico. Quello realistico non si addice ad una storia per bambini, poiché essi si esprimono nell'ambito del gioco e non nella realtà. Invece, quello stilizzato non ci consente di tratteggiare lo sfondo, indispensabile allo svolgimento della nostra storia (Lo sfondo stilizzato è ad esempio quello di Topolino che ovviamente è surreale). Quindi, abbiamo deciso di scegliere un tratto che rappresentasse un compromesso. Un disegno realistico, ma come se fosse fatto da un bambino, stentato e con l'anatomia appena accennata.

Per la colorazione, sempre per dare l’impressione che non fosse troppo realista, ci siamo avvalsi dell’uso del computer.

Infine, abbiamo aggiunto le didascalie e salvato i file in modo da stamparli fronte-retro. Le vignette vengono tagliate e rilegate a mano.

ANNO MMXVIII